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UN NUOVO CASO BOSMAN?

LA SENTENZA CGUE DIARRA’ E REGOLE FIFA IN MATERIA DI TRASFERIMENTO DEI CALCIATORI IN AMBITO COMUNITARIO.

Brevi note sulla sentenza della CGUE del 4 ottobre 2024 nella causa C-650/22.

Quasi trent’anni fa la Corte di Giustizia dell'Unione Europea pronunciava la sentenza Bosman, segnando una svolta epocale nel diritto calcistico.

Il sig. Bosman, a fine contratto con la sua squadra di appartenenza, RFC Liegi, prese accordi con una squadra francese ma il “trasferimento” non si perfezionò a causa del fatto che le due squadre non trovarono l’accordo sull’indennizzo spettante alla squadra cedente, indennizzo dovuto anche in caso di contratto scaduto o in scadenza con “il lavoratore”.

Bosman, per punizione, venne messo fuori rosa e con lo stipendio decurtato , colpevole di aver voluto andare a lavorare da un altro “datore di lavoro” in Francia . La CGUE ravvisò una evidente violazione delle norme comunitarie da parte delle norme di settore e sancì in sostanza , in applicazione del principio valevole per tutti i cittadini della UE della libera circolazione, la liberalizzazione dei trasferimenti dei calciatori comunitari all’interno delle leghe UE, sino ad allora soggetti a un tetto massimo di tre (rimasto per i soli calciatori extracomunitari).

Lo scorso ottobre la CGUE è intervenuta nuovamente in materia, con una pronuncia che ha formato oggetto di vivaci dibattiti nel settore, questa volta avendo ad oggetto sostanziale la fattispecie di chi, pur vincolato da un contratto di lavoro con il suo club calcistico di appartenenza, intende risolverlo (per inadempimento) e andare a fornire le sue prestazioni (in questo caso calcistiche) presso un altro club.

E’ di tutta evidenza che la risoluzione da parte dell’atleta in corso di rapporto di lavoro del contratto che lo lega al suo club di appartenenza non può essere disciplinata come i normali lavoratori ( dimissioni – indennizzo ) mettendo ciò a rischio l’esistenza della stessa competizione di riferimento.

1 - Il caso.

La CGUE è stata chiamata a pronunciarsi sul rinvio pregiudiziale ex art. 267 TEUE disposto dalla Corte di Appello belga di Mons, davanti alla quale in ultima istanza pendeva la causa tra il francese Lassana Diarra da un lato e la FIFA (nonché la URBSFA - Unione Royale Belge des Societes de Football Association) dall’altro.

Il calciatore rivendicava il diritto al risarcimento del danno per cd mancato ingaggio conseguente all’applicazione di alcune norme in FIFA che disciplinano il trasferimento dei giocatori (Regulations on the Status and Transfer of Players -RSTP).

La vicenda giungeva all’esame della Corte belga a seguito di un lungo iter originatosi nel 2014, dapprima in sede amministrativa (davanti alla DRC – Dispute Resolution Chamber della FIFA) e poi giudiziaria.

Lassana Diarra, all’epoca tesserato dalla Lokomotiv Mosca, cessava il rapporto con la società russa in maniera controversa, poiché il club riteneva il recesso del calciatore non sorretto da giusta causa (mancato pagamento di stipendi), con conseguente rivendicazione del diritto all’indennizzo economico previsto dall’art. 17 RSTP.

Diarra riceveva un’offerta di ingaggio da una squadra belga (Sporting du Pays de Charleroi), subordinata però alla conferma dell’esclusione della responsabilità solidale del nuovo club per tale indennizzo prevista dalla norma federale e al rilascio del certificato ITC da parte della Federazione Russa (International Transfer Certificate disciplinato dall’art. 9 RSTP).

L’ingaggio non andava a buon fine in quanto il contenzioso pendente tra Diarra e la Lokomotiv Mosca non consentiva di assolvere alle condizioni poste all’offerta da parte del nuovo club.

Diarra, rimasto in tale periodo inoccupato, veniva in seguito condannato a un consistente indennizzo ex art. 17 RSTP in favore della Lokomotiv Mosca.

Il calciatore adiva quindi l’Autorità Giudiziaria belga, richiedendo a sua volta di essere risarcito dalla FIFA (e dalla URBSFA) per il mancato ingaggio conseguente all’applicazione delle norme RSTP (gli articoli 17 e 9 citati), ritenute in contrasto con i principi comunitari e, segnatamente, con gli articoli 45 TFUE (libera circolazione dei lavoratori) e 101 (libera concorrenza).

La difesa del calciatore (assunta dall'avvocato Dupont, il medesimo del caso Bosman) sosteneva che l'applicazione delle norme federali aveva leso il suo diritto di libera circolazione all’interno dell’UE a lui conferito dal Trattato, impedendogli di svolgere la professione all'interno di uno degli Stati dell'UE e che, inoltre, tali norme si sostanziassero in una illegittima restrizione della libera concorrenza.

Il giudizio, definito parzialmente in modo positivo per entrambe le parti (veniva ridotto l’indennizzo cui era stato condannato il giocatore), a seguito di impugnazione di entrambi giungeva all’esame della Corte d’Appello di Mons, giudice di ultima istanza, che nel 2022 disponeva il rinvio pregiudiziale alla CGUE.

2 – I principi espressi dalla CGUE.

La CGUE ha quindi esaminato l’art. 17 RSTP, che disciplina le conseguenze del recesso senza giusta causa delle parti, ponendo un regime di stabilità contrattuale realizzato con misure disincentivanti quali un indennizzo economico a carico solidale del calciatore e del nuovo club (in caso di recesso del calciatore) e il divieto di nuovi tesseramenti per il club (in caso di recesso di quest'ultimo).

La CGUE ha poi esaminato la disciplina del procedimento di rilascio dell’ITC da parte delle federazioni nazionali prevista dall’art. 9 RSTP in ipotesi di contenzioso pendente tra il calciatore e il club.

La CGUE, nel premettere la legittimità delle norme FIFA in quanto finalizzate a garantire il regime di stabilità contrattuale nell’ambito del rapporto di lavoro calcistico, ha tuttavia evidenziato che nel caso di specie l’applicazione di tali norme portava ad alcune criticità e contrasti con le previsioni comunitarie.

In particolare, secondo la CGUE, se la mera esistenza di un contenzioso pendente tra il club di origine e il calciatore è idonea ad impedirne il trasferimento nel nuovo club (stante le conseguenze finanziarie e sportive), le norme FIFA che determinano tale impedimento si pongono in contrasto con i superiori principi comunitari di liberà di circolazione dei lavoratori (art. 45 TFUE) e di libera concorrenza (art. 101 TFUE).

Secondo la CGUE quindi la specificità del calcio non giustifica “una proibizione generale, drastica o permanente di ogni libertà di reclutare unilateralmente giocatori già ingaggiati da un altro club stabilito in un altro Stato membro, o giocatori il cui contratto di lavoro è stato asseritamente risolto in assenza di giusta causa”

La limitazione contenuta nelle norme FIFA, quindi, secondo la CGUE è ben possibile, ma non può essere “sproporzionata”, andando a tutelare in maniera eccessiva una delle due parti contrattuali (il club di origine) rispetto all’altra (il calciatore), né può determinare un impedimento totale della libertà di concorrenza (in danno sia al calciatore sia al nuovo club).


3 - Le conseguenze sulle regole FIFA e sulla prassi dei trasferimenti.

A distanza di alcuni mesi dalla pronuncia, venute meno le risonanze mediatiche e i commenti emotivi, la portata e gli effetti della sentenza della CGUE nel caso Diarra possono essere ragionevolmente ridimensionate.

La pronuncia affronta un caso peculiare e quindi non può avere portata generale.

Il caso Diarra nasce infatti non da un ordinario contratto calcistico cessato in maniera “fisiologica” (per scadenza o per mutuo consenso), ma “patologica”.

È, in altri termini, un rapporto ab origine controverso: tra Diarra e la Lokomotiv Mosca era pendente un contezioso e le parti discutevano in sede amministrativa innanzi alla FIFA circa l’esistenza della giusta causa legittimante il recesso del calciatore ex art. 17 RSTP e del consequenziale diritto all’ingente indennizzo economico rivendicato dal club.

I principi espressi dalla CGUE ineriscono quindi a una specifica situazione, ossia la libertà di trasferimento del calciatore in presenza di un siffatto contenzioso pendente, ma non pare possano essere assunti a principio generale volto a regolamentare la generalità dei trasferimenti dei calciatori.

Non pare quindi ci si trovi quindi davanti a un “nuovo caso Bosman” come si è letto all’indomani della sentenza.

In quel caso (e lì soltanto) la CGUE espresse principi di portata generale che hanno segnato una svolta epocale nel mondo dei trasferimenti dei calciatori comunitari in ambito comunitario, ma perché la fattispecie decisa aveva caratteri per l’appunto di generalità e non presentava alcuna patologia, contrariamente al caso Diarra.

Di certo la sentenza della CGUE è destinata ad avere importanti ripercussioni sul piano normativo, implicitamente sollecitando il legislatore (nazionale e comunitario) e le parti sociali a rimeditare in maniera organica e rispettosa dei principi comunitari la disciplina del rapporto di lavoro calcistico e, più in generale, il mercato del lavoro in questo particolare ambito, riflessioni peraltro già avviate.

Deve però escludersi che la pronuncia abbia messo in discussione l'intero impianto normativo, determinando l’indiscriminata liberalizzazione del settore dei trasferimenti e con ciò rendendo legittime prassi ben poco virtuose.

Non si è quindi in presenza di una interpretazione sostanzialmente (e totalmente) abrogante del sistema di stabilità dei rapporti di lavoro calcistici, che invece proprio la CGUE ha ribadito essere legittimo e doveroso in quanto posto a tutela di tutte le parti coinvolte.

Un’interpretazione totalmente abrogante non avrebbe infatti solo conseguenze pregiudizievoli per tutti i protagonisti (calciatori, club, organismi), ma si porrebbe in contrasto con ben più numerose e superiori norme.

Nell’auspicio che si giunga presto a un’organica revisione normativa anche a seguito delle riflessioni di confronto avviate dalla stessa FIFA, non si esclude che nelle more il tema giunga nuovamente all’attenzione della giurisprudenza.

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