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Referendum 8 - 9 giugno spiegazione

FOCUS

I QUATTRO QUESITI REFERENDARI DELL’8 E 9 GIUGNO 2025 IN MATERIA DI DIRITTO DEL LAVORO

Gli aventi diritto al voto saranno chiamati l’8 e 9 giugno prossimi ad esprimersi su ben 5 quesiti referendari, di cui 4 in materia di diritto del lavoro. Questi ultimi sono stati promossi da una rete di associazioni ed in particolare dalla CGIL ed hanno ad oggetto:

  • Quanto al primo quesito, l’abrogazione integrale del decreto legislativo 23/2015 ed il consequenziale ripristino anche per gli assunti dal 7 marzo 2015, dell’art. 18 statuto dei Lavoratori (così come modificato dalla L. 92/2012 – cd Legge Fornero), norma che prevede, come regime ordinario e generale, la reintegrazione nel posto di lavoro oltre a degli indennizzi economici in caso di accertata illegittimità del provvedimento risolutivo del rapporto di lavoro
  • Quanto al secondo quesito, l’eliminazione in particolare del limite oggi vigente delle 6 mensilità di indennizzo per coloro che sono stati illegittimamente licenziati nelle aziende con meno di 15 dipendenti
  • Quanto al terzo quesito, l’eliminazione della cd “acausalità” dei contratti a termine nei primi 12 mesi di rapporto
  • Quanto al quarto quesito, l’estensione al committente degli stessi obblighi di formazione e sicurezza che gravano sull’appaltatore



SCHEDA VERDE - PRIMO QUESITO
ABROGAZIONE DEL CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI

Il quesito propone l'abrogazione integrale del Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23, che disciplina il contratto a tempo indeterminato cd “a tutele crescenti” ossia il contratto a tempo indeterminato di lavoro che nello spirito del legislatore del 2015 doveva essere tutelato in modo crescente al progredire dell’anzianità di servizio per consentire una pre- valutazione certa degli effetti di una pronuncia di illegittimità giudiziale del provvedimento impugnato di risoluzione del rapporto.

Nel caso in cui l’effetto abrogativo dovesse perfezionarsi, le conseguenze principali si apprezzerebbero nelle  aziende  con oltre 15 dipendenti (in verità il decreto 23 si occupa anche delle aziende con meno di 15 dipendenti) ed in particolare per gli assunti a partire dal 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore della riforma) che non sarebbero più in thesi penalizzati rispetto ai loro colleghi (magari di ufficio) assunti ante 7 marzo 2015.

Pur non essendovi dubbio che l’assetto normativo attuale differenzia (e quindi in thesi discrimina) i lavoratori tra loro sulla base di un dato neutro quale la data di assunzione ( ma questo solo per i licenziamenti illegittimi e non certi per quelli nulli per cui – ci si scusi il bisticcio- nulla è cambiato e nulla cambierà), pare doveroso segnalare che:

  • Non è detto che il regime normativo sia più sfavorevole per gli assunti dopo il 7 marzo 2015 posto che l’indennizzo nella misura massima di 36 mesi è spesso più favorevole di una pronuncia di reintegrazione e questo sia perché nella realtà il ripristino effettivo è improbabile materialmente pur giuridicamente disposto (infatti difficilmente un rapporto di lavoro - di per se fiduciario - si può realmente ripristinare in base ad una sentenza) sia perché la sentenza di reintegrazione non può condannare ad un pagamento indennitario eccedente i 12 mesi
  • l’originaria disciplina contenuta nel D.lgs. 23/2015 ha formato oggetto, nel corso del suo decennio di vigenza, di interventi normativi correttivi (il ridetto innalzamento sino a 36 mesi dell’indennizzo ossia 3 volte il valore indicato dall’attuale art.18 Statuto) e soprattutto di diverse pronunce della Corte Costituzionale che ne hanno ridisegnato la portata, tanto che allo stato non vi è nei fatti una reale differenza di trattamento tra gli assunti ante e post 7 marzo 2015, essendo le ipotesi in cui non si applica la reintegrazione limitate e residuali



SCHEDA ARANCIONE - SECONDO QUESITO
LICENZIAMENTO INDIVIDUALE NELLE PICCOLE MEDIO IMPRESE - ABROGAZIONE DEL TETTO MASSIMO DI INDENNIZZO

Il quesito propone la parziale abrogazione della vigente disciplina (art. 8 L.604/1966 e s.m.i.) che prevede, in caso di licenziamento illegittimo del dipendente a tempo indeterminato nelle aziende con meno di 15 dipendenti (da calcolarsi in assoluto e non solo nella singola unità produttiva), una tutela indennitaria da 2,5 sino ad un massimo di 6 mensilità di retribuzione globale di fatto, somma graduabile in relazione ai fattori indicati nella norma (dipendenti occupati, dimensioni dell'impresa, anzianità di servizio, comportamento e condizioni delle parti).

La richiesta di abrogazione riguarda anche la seconda parte della norma che innalza l’indennizzo fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a 10 anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a 20 anni, se però dipendenti da datore di lavoro che occupi più di 15 prestatori di lavoro su base nazionale (ossia considerando tutte le sue unità produttive sul piano nazionale).

Infatti se la soglia fosse superata nell’unità produttiva dove lavorava il lavoratore licenziato (o nelle unità produttive ubicate nel Comune dove il licenziato lavorava), si applicherebbe l’art. 18 S.L.

Questo, per esempio, può essere il caso del lavoratore che, prima del licenziamento, lavorava presso l’unità produttiva di Genova, dove erano addette 12 persone, se il suo datore di lavoro ha un’altra unità produttiva, per esempio a Milano, dove sono occupate altre 10 persone.

Poiché l’art. 18 S.L. si applica anche nel caso in cui il numero complessivo dei dipendenti a livello nazionale superi le 60 unità, la maggiorazione indennitaria di cui si chiede l’abrogazione riguarda datori di lavoro che occupino complessivamente più di 15 lavoratori ma fino a 60.

L’abrogazione avrebbe quale effetto ,quindi, l’eliminazione del “tetto massimo” di indennizzo, rimettendone in toto la determinazione all’apprezzamento del Giudice, che potrebbe portare a valutazioni difformi di casi analoghi, quantomeno sino al consolidarsi di orientamenti e prassi collaudati.

Inoltre , salvo alcune eccezioni, il contesto imprenditoriale di riferimento è fatto nella realtà di vere piccole aziende spesso impossibilitate a fare fronte ad indennizzi cospicui riconosciuti al lavoratore in sede giurisdizionale.


SCHEDA GRIGIA
CONTRATTI A TERMINE ABROGAZIONE DELLA NON NECESSITA’ DI INSERIRE NEL CONTRATTO LA cd CAUSALE PER I PRIMI 12 MESI

Il quesito propone la parziale abrogazione della vigente disciplina (D.lgs. 81/2025 art. 19 c. 1, 1bis e 4 e art. 21 comma 1) che prevede la possibilità di stipulare contratti a termine cd “acausali” per i primi 12 mesi.

L’abrogazione avrebbe quindi quale effetto la reintroduzione della necessità di indicare sempre la causale ossia il motivo dell’assunzione a termine , motivo / causa tra quelli indicati nei Contratti Collettivi o comunque di declinare sempre le esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti ( norma questa soggetta a proroghe temporali e da ultimo in vigore sino al 31.12.2025).

Resterebbe quindi esclusa dall’obbligo di indicazione della causale solo l’ipotesi di sostituzione dei lavoratori.

Sul punto giova ricordare che l’obbligo di indicazione della causale ha generato negli anni un contenzioso alluvionale che le norme di cui si chiede l’abrogazione hanno di fatto ridimensionato determinando, nei fatti, che dopo i primi 12 mesi o il rapporto si estingue completamente o il lavoratore viene assunto a tempo indeterminato.

Nel concreto ben difficilmente in oggi gli operatori sottoscrivono un contratto a termine per un periodo eccedente i 12 mesi o proroghe o rinnovi dello stesso dopo il primo periodo di 12 mesi e questo proprio per evitare le difficoltà insite nella redazione di una causale che, come da giurisprudenza costante, non può essere meramente riproduttiva di una norma del CCNL di categoria ( si veda ad es. locuzioni generiche quali punte di intenza attività o similari) ma deve essere specifica.


SCHEDA VIOLA
RESPONSABILITA' SOLIDALE IN MATERIA DI APPALTO - ABROGAZIONE DELL'ESCLUSIONE PER INFORTUNI CORRELATI A "RISCHI SPECIFICI"

Il quesito propone l’abrogazione dell’art. 26 comma quarto del D.lgs. 81/2008 (TU sicurezza sui luoghi di lavoro) che esclude la responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per gli infortuni subiti dal dipendente dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice, quando il danno è causato da “rischi specifici” dell’attività di questi ultimi.

L’attuale esclusione trova la sua motivazione nell’impossibilità per il committente di gestire i “rischi specifici” dell’attività dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice.

L’abrogazione avrebbe quindi quale effetto l’introduzione di una responsabilità solidale totale in capo a committente, appaltatore e subappaltatore, a prescindere dalla natura del rischio da cui è originato l’infortunio del lavoratore.

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